ROMA – Il contribuente che, in qualità di erede, percepisce il compenso spettante al padre deceduto che aveva chiuso la partita Iva, per assolvere correttamente gli obblighi fiscali deve riaprire la partita Iva del professionista, emettere la fattura relativa al compenso incassato ed effettuare tutti gli altri adempimenti relativi al pagamento.
Il quesito risolto con la risposta n. 118 pubblicata del 22 aprile 2025 dall’Agenzia delle entrate riguarda un contribuente che a dicembre 2024 ha riscosso, al netto dell’Iva, parte di una parcella dovuta al padre deceduto nel 2011. Il compenso derivava da prestazioni professionali rese dal defunto a una società fallita. Il padre, precisa il richiedente, prima di morire, aveva chiuso la partita Iva.
In un primo momento, continua il contribuente, il curatore fallimentare aveva comunicato che, per certificare il pagamento, avrebbe emesso un’autofattura trattenendo l’imposta sul valore aggiunto che avrebbe versato all’Erario.
Tuttavia, successivamente, a causa delle modifiche intervenute sull’articolo 6, comma 8, del Dlgs n. 471/1997, per le quali non è più richiesta l’emissione di un’autofattura, il curatore ha chiesto all’erede di emettere una fattura nei confronti della società fallita, solo dopo aver ricevuto questa fattura la curatela avrebbe versato l’Iva.
Alla luce di ciò, il contribuente chiede come debba comportarsi per assolvere correttamente gli obblighi relativi al compenso incassato. In particolare, ritiene che non sia necessario né riaprire la partita Iva del defunto né aprirne una a suo nome per rilasciare la fattura richiesta, ma che debba essere il curatore fallimentare a dover emettere autofattura come prevede la risposta n. 52/2020.
L’Agenzia delle entrate spiega perché, in base a normativa, prassi e giurisprudenza, tale soluzione non sia condivisibile.
Innanzitutto, chiarisce che, in generale, la cessazione dell’attività professionale e la chiusura della partita Iva non coincidono con l’interruzione delle prestazioni e specifica che fino a quando tutte le operazioni attive e passive non sono state completate, la partita Iva non può essere chiusa. È quanto stabiliscono, in sintesi, la circolare n. 11/2007 e la risoluzione n. 232/2009. Inoltre, come conferma anche la giurisprudenza, il compenso ricevuto è imponibile anche se percepito dopo la cessazione dell’attività, in quanto il fatto generatore del tributo Iva e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati con la materiale esecuzione della prestazione (Cassazione, n. 8059/2016). La prestazione è ritenuta conclusa, salvo fatturazione anticipata, solo con l’incasso.
In caso di morte, poi, la normativa prevede che gli obblighi fiscali relativi a operazioni prestate dal professionista prima del decesso possano essere adempiuti dagli eredi.
Nello specifico, se l’interessato non ha ancora emesso le fatture relative ai compensi maturati, devono provvedere gli eredi in nome del defunto – ancorché i termini ordinari per l’adempimento siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte – entro i sei mesi dalla morte (articolo 35-bis, decreto Iva). La risoluzione n. 34/2019 ha inoltre chiarito che in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita Iva del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella, salvo anticipare la fatturazione.
In pratica, se il defnto non ha fatturato la prestazione, l’obbligo si trasferisce agli eredi che, ovviamente dovranno fatturare la prestazione da lui eseguita non in nome proprio, ma in nome del defunto.
Nella vicenda in esame, tuttavia, il contribuente aveva chiuso la partita Iva prima del decesso. In tal caso, come chiarito con la risposta n. 163/2021, gli obblighi di fatturazione passano a chi agisce per conto del cedente/prestatore (nel nostro caso l’erede) riaprendo a posteriori una nuova partita Iva ed effettuando gli adempimenti relativi all’operazione.
Solo nel caso in cui l’erede rimanga inerte, nonostante la richiesta del curatore di emettere la fattura, sorgerà per quest’ultimo l’obbligo di “regolarizzare” l’operazione. Con riguardo a tale eventualità, in seguito alla riformulazione dell’articolo 6, comma 8, del Dlgs n. 471/1997 operata dal decreto legislativo n. 87/2024 (articolo 2, comma 1, lettera d), numero 7), sono cambiate le regole in capo al committente: in caso di omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore, per evitare l’applicazione delle sanzioni non è infatti più tenuto a emettere autofattura (o regolarizzare la fattura ricevuta) e a versare l’imposta (o la maggiore imposta) all’Erario, ma deve solo comunicare l’irregolarità all’Agenzia delle entrate, entro novanta giorni dal momento in cui avrebbe dovuto essere emessa la fattura regolare. Per farlo, dal 1° aprile 2025 è utilizzabile l’apposito codice TD29 nel sistema di interscambio (Sdi).
La risposta all’interpello precisa che, quindi, la soluzione contenuta nella risoluzione n. 52/2020 richiamata dal richiedente, che rimandava, in caso di inerzia degli eredi, al cessionario/committente il compito di versare l’imposta (con pagamento del compenso al netto dell’Iva) deve intendersi parzialmente superata per far posto alle nuove regole stabilite con la nuova disposizione.
In definitiva, alla luce della modifica normativa, il compenso andrà corrisposto all’erede al lordo dell’imposta. Quest’ultimo dovrà chiedere la riapertura della partita Iva del defunto per assolvere gli obblighi fiscali connessi al pagamento.
Soltanto nel caso in cui l’erede non dovesse seguire tale procedura, il committente dovrà effettuare la comunicazione di rito disposta dall’articolo 6 comma 8 del decreto legislativo n. 471 del 1997, per non incorrere nella relativa sanzione. “Va da sé” conclude l’Agenzia, “che, in tale evenienza, l’Amministrazione finanziaria ha il potere di agire nei confronti dell’erede per recuperare l’imposta dovuta, le sanzioni e gli interessi”.